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«Guardate, questa è la mia intervista. Pare la ricetta del medico…». E via, con gli occhi cerulei a fissare divertiti il foglietto scritto fittamente, in lungo e in largo, di dritto e di rovescio: nero su bianco, i piccoli aneddoti e le grandi verità del pallone raccontate da chi ne sa.
Potere ridanciano della grafia del cronista, solo a lui comprensibile. Ce l’avevano detto, all’ingresso sul campo Falco di Albino, teatro delle sudate settimanali della Virtus Bergamo 1909, che Nello Malizia non aveva l’indole del saggio con mille arie, bensì la natura dell’anticonformista abituato a dissacrare il dissacrabile impegnandosi nella sostanza. Un tipo che finge di non essere una figurina che si stacca dall’album, eppure ha un carrierone grande così alle spalle. Eccone la prova provata. Un personaggio carico di gloria che cerca la battuta e per il resto si dedica anima e cuore al compito di preparare i portieri, lui che della professione se ne intende più di molti altri: «Saper giocare è una dote naturale, allenare è difficilissimo. Bisogna mettere in conto di dover entrare nella testa dei ragazzi, non è come insegnare da dietro una cattedra: io li capisco perché quello che provano loro adesso l’ho provato anch’io, agli esordi».
Questo quasi sessantasettenne (30 luglio 1950) dal fisico di ferro, che in molti ricorderanno nelle vesti di secondo di Ottorino Piotti, all’Atalanta, dal 1984 al 1988, prima sotto Nedo Sonetti e poi Emiliano Mondonico, è stato innanzitutto un recordman di provincia, protagonista di una di quelle imprese impensabili al giorno d’oggi, nel calcio patinato da sbornia televisiva: «Stagione 1978/79, col Perugia dei miracoli. Secondi dietro il Milan di Liedholm, ma imbattuti. Solo il Milan di Capello nel 1992 e la Juve di Conte un ulteriore ventennio più tardi riuscirono a eguagliare il nostro record. La nostra serie però si prolungò nell’annata successiva: trentasette partite di fila senza perdere». Storie dell’Italia alla periferia dell’impero che divengono leggenda, senza perdere i connotati umani. Anzi, il numero uno-professore delle giovani leve di oggi sa inquadrare le gesta di ieri in un preciso contesto economico e sociale: «Erano gli anni delle crisi petrolifere, nemmeno le big avevano tanti soldi da spendere. Il calcio, fatalmente, era livellato verso il basso: non a caso il Verona riuscì a vincere lo scudetto cinque anni dopo la nostra impresa. A Perugia la squadra la faceva il direttore sportivo Silvano Ramaccioni, uno che capiva i calciatori come nessuno, poi team manager del Milan sacchiano, insieme al presidente Franco D’Attoma e all’allenatore Ilario Castagner». Uno dei non pochi legami ante litteram con la Bergamo del pallone, riannodando le corde della paranza di una parabola professionale chiusa nel 1989 a difesa della porta dell’Orceana: il tecnico di Vittorio Veneto veniva dal settore giovanile atalantino, l’altro portiere Marcello Grassi aveva giocato da noi, il libero Piero Frosio avrebbe allenato a Zingonia negli anni novanta. «E a Cagliari, 1982/83, c’era anche Giovanni Vavassori del cui staff avrei poi fatto parte. Ma gettando lo sguardo indietro nel tempo posso dire che il primo segnale che sarei andato a parare da voi, in tutti i sensi, lo ebbi ad appena 17 anni». Quando lo sport più popolare nello Stivale non era una priorità, nella mente del conterraneo dell’ex toga Antonio Di Pietro solo per l’anagrafe: «Sono nato a Montenero di Bisaccia ma cresciuto a Potenza Picena, dove da ragazzo facevo il carrozziere prima di iniziare a giocare nella Maceratese: i motori e le auto sono stati la mia prima vera passione. E insomma, in estate, al mare, una signora mi portò la sua Fiat 500 da far lucidare: era targata Bergamo!».
Incredibile a dirsi, un calciatore rimasto nel mondo del calcio che rivendica il suo primo amore, così diverso, così insolito: «Oggi non è più così, ma allora rimettere a nuovo una macchina scassata era un’opera d’arte. E si stava lì ad ammirarla, a lavoro finito». Il gioco del balù? Più prosaico. O forse no, ma non ha tutta questa importanza, nei racconti di Malizia: «Non volevo saperne nemmeno di andare a Perugia, da dove poi la mia carriera sarebbe decollata. Mi convinsero gli amici, io non pensavo di fare il professionista. E giocare va bene, ma non è tutto. Contano i valori, lo stare in gruppo, il poter offrire la tua esperienza e quello che sai dare agli altri: far parte di una squadra è come impegnarsi con la famiglia».
Lui, tra il “Pesenti Pigna” di Alzano Lombardo e il sintetico albinese dove allena i portieri di prima squadra e Juniores, ne ha trovata un’altra: «La Virtus Bergamo è in serie D ma a me la categoria non è mai interessata. Io cerco serietà, serenità e passione. Ingredienti che qui non mancano di certo». Il Nello bergamasco onorario ha un rimpianto, anche se lo ammetterebbe solo a denti stretti: «All’Atalanta ho lavorato un ventennio, nel settore giovanile e poi con la prima squadra da Lippi a Delneri. Ammalatosi il presidente Ivan Ruggeri, in molti lì dentro persero un punto di riferimento. Il rapporto è finito così, quando ormai ero pronto per l’ennesimo ritiro: sono molto spietato con me stesso, ma è una cosa che ancora non so spiegarmi». 1992-2009, un diciassette che ha portato più rogna alla Dea che a Malizia, visto che la prima stagione senza di lui equivalse all’ultima retrocessione in B. Ma questa è un’altra storia: «La mia, quella attuale, è iniziata con l’Aurora Seriate, prima che si unisse con l’Alzano. Ed eccomi qui con la passione di sempre». E la divisa con quel giglio Virescit nello stemma societario, tanto lustro per un pedigree che già di suo non teme confronti. I guanti, poi: «Un regalo di Ivan Pelizzoli». Ovvero uno dei tanti allievi che ha voluto onorare il maestro. Uno lanciato dal Nello e dal Vava. Perché gratta gratta, sotto il bianconero pulsa un cuore nerazzurro. Ordinaria amministrazione: tra staff e dirigenza ci sono altri ex come Armando Madonna, Andrea Bruniera (giovanili nerazzurre) e Mirco Poloni, oltre al tecnico della Juniores Mirko Togni e al suo vice Daniele Filisetti. Figurine come lui, nell’album Virtus, dove conta il presente e nessuno si fa forte del passato. Anche se ne avrebbe da vendere.
(nella foto Nello Malizia insieme a Franco Morelli, figura storica del calcio
bergamasco, è dirigente accompagnatore di lunga data e campione nazionale
Juniores con Achille Mazza nella Stezzanese stagione 1968/69.)
testo: SIMONE FORNONI
foto: LUCA LIMOLI
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