La Fara di Città Alta baciata dal sole in un fresco giovedì pomeriggio di metà gennaio. In questa poetica location, che trascolora nei bagliori di un cielo ormai prossimo al tramonto, ad accogliere il team di “Bergamo Sport News” c’è un personaggio di spicco del calcio nazionale e bergamasco: Antonino Bernardini detto il professore, centrocampista e regista classe ’74, romano di nascita, che intorno al gioco del calcio ha costruito la sua carriera. Con i suoi modi affabili ci racconta così della sua vita, del campo, di come è diventato un grande calciatore capace di lasciare il segno. Dopo aver militato nella Roma per due stagioni nel ‘93/’94, ma senza alcun esordio in campionato, sfonda invece nel Torino in serie A, dove firma il suo primo vero contratto da professionista nel biennio successivo, grazie all’allenatore Nedo Sonetti che crede nelle sue capacità. Momento più bello della tua carriera con i colori nerazzurri? “Sicuramente quello della retrocessione” commenta Antonino: “Con l’Atalanta di Delio Rossi nel 2004/2005, facemmo una cavalcata impressionante nel girone di ritorno ma ciò non servì a garantirci la salvezza, infatti retrocedemmo in casa con la Roma. Fu un momento toccante in quanto lì si comprese l’anima della città e l’affetto dei tifosi. Facemmo un giro di campo con l’ovazione del pubblico ad accoglierci”.
L’Atalanta, quella che oggi sta vivendo un’importante sfida su tre fronti: campionato, Europa League e Coppa Italia riuscendoci alla grande ed affermandosi anche sulle squadre più forti: “Sicuramente il merito è sia dei ragazzi che dell’allenatore”, commenta il professore: “Questi ragazzi in due anni hanno cavalcato un’onda impressionante, mentre Gasperini ha importato una mentalità vincente, ovvero quella di andarsela a giocare ovunque, anche contro le big. Spero veramente in una continuità in questa direzione e che il sogno nerazzurro non si esaurisca. Questa squadra ha le carte anche per giungere alle finali di Coppa Italia”.
Ma che ricordi serba Bernardini dell’Atalanta di allora? :”Eravamo un bel gruppo nei cinque anni in cui ho militato nella Dea. Eravamo proprio una gran bella realtà, infatti insieme abbiamo vinto due campionati e raggiunto la salvezza con Colantuono e Delneri”. Un rapporto, quello con Bergamo e con i suoi abitanti, da principio non così semplice a causa della diffidenza tipica di dei suoi cittadini, ma che con il tempo si è fatto sempre più stretto, fino a che il centrocampista romano non ha fatto breccia nel cuore della gente locale. “Non a caso, dopo il ritiro dal mondo del calcio ho deciso di stabilirmi con i miei figli e la mia famiglia in questa città, fatta a misura d’uomo e ideale per viverci”, spiega Antonino. Il bambino nato in San Lorenzo, quartiere storico romano in cui vi sono ancora i segni dei bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, cresciuto di fronte a un palazzo sventrato dalle bombe, è riuscito ad emergere dalla periferia, arrivando sino alla serie A, ci racconta il professore, soprannome quest’ultimo che gli è stato affibbiato dall’allenatore Luciano Spinosi proprio per il suo modo magistrale di interpretare il calcio e di stare in campo, dando all’occorrenza anche consigli e suggerimenti agli altri giocatori. “L’attrezzo più importante in campo è il pallone e al giorno d’oggi è inconcepibile che ci siano giocatori di serie A che non sanno calciarlo da fermi. Il calcio di oggi è tutta tattica, molto fisico, anche se devo dire che l’Atalanta ultimamente sta esprimendo un bel calcio”.
Gli anni passano ma le amicizie con i compagni di allora restano, come quella con Cucciari e con Zampagna. “Sono molto amico di Alessandro Cucciari che ha avuto una carriera da buon calciatore di livello e che ha tenuto a battesimo mio figlio Simone. Altro grande giocatore con cui ho stretto un importante legame è Riccardo Zampagna con cui mi sento spesso”. Il 2010 fu invece l’ultimo anno in cui Bernardini ha giocato a calcio nella serie B in seguito alla rottura del crociato, nell’AlbinoLeffe per l’esattezza, quando ad allenarlo era il grande Emiliano Mondonico: “Un uomo che sapeva sempre come interpretare la partita e azzeccava ogni volta il cambio giusto”. Una carriera, quella del professore romano, che rimarrà nella storia del calcio e dei tifosi. Non solo un grande centrocampista ma anche importante allenatore e direttore tecnico della Rivoltana (squadra lombarda iscritta al campionato di Eccellenza)nel 2013. Un ultimo sogno nel cassetto? “Quello di tornare ad allenare squadre di un certo livello. Mi mancano il campo e il gioco di squadra”. E noi gli auguriamo un ritorno da campione.
servizio a cura di : Daniela Picciolo
foto: Luca Limoli
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